In questi anni vediamo un gran numero di nuove traduzioni di classici che ovviamente erano già in commercio.
Ri-tradurre è un lavoro che ha solo minimante a che vedere con il correggere gli errori, per quanto qualche errore ci possa essere anche nelle migliori traduzioni.
È piuttosto un lavoro che ha a che fare con:
- il rendere la lingua del testo originale in una lingua italiana più prossima alla nostra (quanti autori ci sembrano “vecchi” perché sono “vecchie” le traduzioni? Quanti autori hanno ancora addosso l’italiano degli anni Cinquanta?);
- il pulire la traduzione da travisamenti ideologici (per esempio, l’italiano macchiettistico affibbiato alle persone di colore nella prima traduzione di Via col vento);
- il vedere meglio il testo, attraverso gli ultimi studi e una conoscenza spesso nuova o rinnovata dell’autore.
Ecco cosa scrive Simone Barillari, uno dei docenti dei nostri corsi, a proposito di Conrad e della lettura che ha fatto per arrivare a capire il significato più profondo di Cuore di tenebra (prima ancora che la lingua di Cuore di tenebra):
Si può allora dedurre dalla comparazione di questi avvenimenti una segreta legge enunciata in Cuore di tenebra: tutti quelli che hanno restraint (Marlow, il Direttore, il giovane russo, i cannibali) sopravvivono, tutti quelli che non hanno restraint (Kurtz, il timoniere) muoiono, come a dire che quegli impulsi, che sono necessari a vivere, portano alla morte chi non li controlla; ma anche che chi muore non riuscendo a controllarli ha vissuto più da uomo di chi vive controllandoli grazie ad altri.
Conrad costruisce l’intero arco del libro intorno a quell’idea portante posta al centro come una chiave di volta, come se la prima metà della storia fosse un’unica, imponente domanda, «Restraint? What possible restraint?» e la seconda metà fosse un tentativo tenace di capire che cosa rende uomini, di definire quell’indefinibile something restraining, di chiarire, attraverso una serie di esempi fatti quasi a sé stesso, quella forza oscura dell’agire umano, senza mai giungere a una risposta che non sia nell’intero arco del ragionamento. Il termine restraint, nel testo, è come la voce di un dizionario spiegata solo attraverso esempi d’uso, e prende a poco a poco una nuova accezione rispetto a quella originaria: il restraint dell’Inghilterra puritana parla solo di «ritegno», di «pudore», di «vergogna», il restraint di Conrad, nel 1899, profetizza quello che Freud chiamerà, 27 anni dopo, «freno inibitore» (Hemmung), ed è come se in Cuore di tenebra, in questo «estenuante pellegrinaggio tra presagi di incubi» scritto negli stessi giorni dell’Interpretazione dei sogni, in questo Pilgrim’s Progress for our pessimistic and psychologizing age, «un Pilgrim’s Progress per la nostra epoca pessimista e psicologizzante» (Guerard 1958), l’uomo fosse sceso per l’ultima volta negli sconosciuti e tormentati inferi della sua anima prima che quella sterminata terra incognita fosse esplorata dai padri della psicanalisi, prima che la Stazione Esterna, la Stazione Centrale e la Stazione Interna fossero rinominate, come città occupate, SuperIo, Io ed Es, prima che le parole gridate dal viandante lungo il viaggio, i various lusts di Kurtz, il suo appellativo di Shadow, diventassero i termini di una nuova scienza: il Lust di Freud, l’Ombra di Jung.
Se questo è vero, se il significato di restraint è qualcosa che si fa più preciso a ogni nuova occorrenza, allora la traduzione di restraint non può che ricorrere a un unico termine (nel mio caso «freno») che si ripeta sotto forma di sostantivo con restraint, di verbo con to restrain e di aggettivo con unrestrained, perché la ripetizione scolpisce il senso del termine. E se la parola restraint ha questa forza esplicativa, questa sorta di capacità aperitiva del testo come se ne fosse la chiave, allora si dovrà sottolinearne l’importanza stabilendo una corrispondenza biunivoca tra quel termine e il termine con cui è tradotto: non solo ogni volta che nel testo compare restraint ci dovrà essere in traduzione il termine scelto, ma ogni volta che quel termine compare in traduzione ci dovrà essere restraint nel testo, e non si potrà tradurre Marlow che dice «I held my tongue», per esempio, con «tenni a freno la lingua», come pure verrebbe naturale.
Intorno a restraint altri termini tra cui heart, dark, know, monster, invade si dipanano come fili di senso del tessuto testuale, e devono essere seguiti a uno a uno e intrecciati con altri, fino a lasciar intravedere, sotto la trama romanzesca, l’ordito filosofico, perché si può fare filosofia, disse una volta Malraux parlando di Shakespeare, non solo costruendo un sistema ma anche mostrando un mondo, e una traduzione, allora, deve avere qualcosa di un mappamondo con nomi e meridiani.
Tradurre un’opera mondo, rispetto a tradurre un’opera, significa tentare di rappresentare non solo una prosa ma un pensiero, non solo una finzione ma una filosofia.
Torneremo presto su questo discorso. Nel frattempo, ti proponiamo un esercizio: prova a prendere due traduzioni di uno stesso classico e a confrontarle tra loro. Cosa ne pensi?
[Se non sai che testo prendere, ti consigliamo di confrontare due tra le molte – circa sedici – traduzioni di Moby Dick.]
